C’è uno spot, che mi ha molto colpita, che più di tante espressioni in “tecnichese” descrive l’importanza (e l’impatto) delle tecnologie applicate al settore finanziario per la popolazione del continente africano. C’è un agricoltore che raccoglie ortaggi. Prende dalla tasca il suo cellulare e controlla il prezzo all’ingrosso. Si reca dal compratore, pesa la merce, ed effettua la transazione online. Il compratore riceve l’importo, e i due si stringono la mano. Questo spot, molto bello, ci fa capire quanto – in alcune regioni africane (dove l’isolamento e le distanze hanno sempre costituito una barriera allo sviluppo) – la tecnologia si dimostri strategica anche come strumento per abbattere distanze e barriere, e aprire ad un percorso di inclusione, anche sul fronte economico.
In effetti soluzioni come pagamenti mobili e blockchain si stanno diffondendo sempre di più creando nuovi scenari, ma anche sconvolgendo l’impianto bancario tradizionale che a volte fatica a tenere il passo.
La mobile money viene normalmente implementata da infrastrutture esterne di cash-in e cash-out, le cosiddette agenzie di e-money, che si occupano di convertire la valuta elettronica in moneta reale e viceversa; ma, contestualmente, si stanno affermando servizi di mobile money puramente digitali tra i possessori di account (“account-to-account”, o “A2A”) e quelli operanti tra gli account di mobile money e i conti bancari (“money-to-account”). Poiché la mobile money riguarda sia il settore delle comunicazioni sia quello finanziario, accade che tale servizio sia soggetto a diverse autorità di regolamentazione.
Secondo GSMA (Global System for Mobile Communications Association), in varie zone dell’Africa la mobile money raggiunge livelli da record: ben oltre 395,7 milioni di mobile money account sono registrati nella sola regione dell’Africa subsahariana, per un volume di transazioni pari a circa 26,8 miliardi di dollari USA (Report GSMA 2019).
Se consideriamo che (nel report State of the Industry Report on Mobile Money, redatto sempre da GSMA), a livello planetario sono stati registrati 866 milioni di account di mobile money, con un volume di circa 1,3 miliardi di dollari statunitensi al giorno, ci sorprenderà non poco il fatto che l’Africa subsahariana, da sola, rappresenti quasi la metà del totale globale.
In termini percentuali, si tratta di una crescita del 13,6% in termini di sottoscrittori e del 15,3% in termini di valore delle transazioni già rispetto al solo anno scorso. Secondo il Global Findex Database 2017 redatto dalla Banca Mondiale, l’Africa subsahariana è l’unica regione al mondo in cui la percentuale di adulti in possesso di account di mobile money supera il 20%.
Se poi ragioniamo in termini dimensionali, (1,2 miliardi di persone, che raddoppieranno entro il 2050), abbiamo una chiara percezione del valore potenziale rappresentato dal mercato africano, in questo settore.
Non è casuale, infatti, la spinta verso il 5G (Ericsson, ma soprattutto i cinesi, con Huawei), oppure la notizia recente che ci arriva dalla Tunisia la quale, supportata dalla ICO Universa (start-up russa), con l’e-dinar sarà il primo paese al mondo a spostare la gestione del denaro su piattaforma blockchain.
Del’impatto del 5G, e delle tecnologie blockchain, avremo modo di parlare nei prossimi articoli.
Il 7 luglio 2019 è stata una data storica destinata a cambiare i destini dell’Africa.
In quella data, infatti, a Niamey in Niger, durante il vertice straordinario dei capi di Stato dei paesi dell’Unione Africana (in perfetta controtendenza con le politiche dei dazi e delle barriere attuate da Trump) si sanciva l’inizio della fase attuativa dell’Accordo continentale africano di libero scambio (CFTA African Continental Free Trade Area) per l’abbattimento progressivo di tutti i dazi e tutte le barriere doganali all’interno dell’intero continente.
Si tratta di un evento di portata epocale, destinato ad incidere in modo significativo sugli assetti geopolitici e geoeconomici mondiali, che ha insita una visione del continente, fondata sul panafricanismo e che pone le basi per una nuova era di rinascimento dell’Africa.
L’Accordo, firmato da 54 dei 55 membri dell’Unione africana (fa eccezione solo l’Eritrea per le tensioni con l’Etiopia) darà un forte contributo al superamento delle 84 mila km di frontiere interne ereditate dal colonialismo.
Con l’eliminazione dei dazi sul commercio infra-africano, si crea, di fatto, l’area di scambio più gande al mondo, con un mercato di 1,2 miliardi di cittadini e di consumatori destinati a raddoppiare entro il 2050.
Il commercio interno all’Africa rappresenta, attualmente, meno del 15% del totale delle esportazioni. Basti pensare che quello interno all’Unione europea è del 70% e quello infra-asiatico è già del 50%. Con l’entrata in vigore dell’Accordo, il commercio fra i paesi africani aumenterà almeno al 25% entro il 2023.
La creazione della Zona di libero scambio e dell’unione doganale è il primo passo di un percorso volto alla realizzazione del mercato comune africano nel 2025 e dell’unione monetaria nel 2030.
L’esperienza dell’Unione europea è stata sicuramente ispiratrice per i paesi africani i quali stanno facendo (e, faranno) tesoro anche delle difficoltà e degli errori commessi in Europa. Non è un caso, infatti, che l’unione monetaria sia stata posta come obiettivo finale e non – com’è accaduto per l’Euro – come presupposto dal quale partire.
In questo scenario, così dinamico ed in continua evoluzione, sarebbe auspicabile che l’Italia e l’Europa non si ponessero nei confronti dell’Africa come meri spettatori; al contrario, occorrerebbe applicare una lungimirante visione euro-africana, accompagnata da una seria strategia politica che guardi al lungo periodo.
Ciò, perché, mentre Italia e Europa stanno a guardare, i giganti asiatici (Cina, ma anche Russia) investono e si muovono velocemente, ponendo le basi per un nuovo colonialismo finanziario nei confronti dell’Africa, dal quale, anche l’Europa, avrebbe tutto da perdere.
Giovanni Carbone, professore ordinario di Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Milano e Responsabile del Programma Africa dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi, Milano), nel rapporto ISPI 2018 sottolinea come il processo di trasformazione e modernizzazione in atto coinvolga tutto l’insieme del “sistema Africa”: espansione demografica, rapida urbanizzazione, sviluppo economico, progresso sociale, sfide ambientali, innovazione tecnologica, integrazione continentale, cambiamenti politici, pressioni migratorie.
“Tali cambiamenti – afferma – si incrementeranno ad un ritmo ancora più sostenuto nei prossimi decenni”.
Innanzitutto, il dato demografico: la popolazione africana è quintuplicata (da 229 milioni nel 1950 a 1,2 miliardi di oggi) e si prevede che raddoppierà a 2,5 miliardi nel 2050, costituendo un quarto della popolazione mondiale. Il tessuto demografico è molto giovane (nel 2050 l’età media del continente sarà ancora sotto i 25 anni, proiettata a toccare 35 solo nel 2100).
L’incremento demografico determinerà un aumento del fabbisogno di energia e risorse, agendo come motore del consumo globale.
Si assiste, già da ora, ad uno spostamento della popolazione verso le aree urbane. Questa migrazione interna si accentuerà nei prossimi anni, con un percorso di espansione pari ad un tasso annuo del 3% per il periodo 2015-2020.
Questo flusso di popolazione urbana si tradurrà nella concentrazione di megalopoli con oltre 10 milioni di cittadini e una pletora di centri urbani di medie dimensioni, con aree rurali che diventano meno centrali per la vita degli africani, determinando una crescita esponenziale nel fabbisogno di servizi.
Complessivamente, nel periodo dal 2000 al 2015 le economie africane sono cresciute a un tasso medio annuo senza precedenti di circa il 5%. La tendenza positiva ha coinvolto molti paesi interessando una grande varietà di settori: energia, materie prime, ma anche tutto il comparto dell’ICT (tecnologie digitali).
Tuttavia, le traiettorie di sviluppo non sono armoniche e il continente cresce e crescerà a velocità diverse, con alcuni paesi che si sviluppano rapidamente (ovvero le economie non petrolifere come Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Mali, Ruanda, Senegal e Tanzania), e altre in rallentamento: Nigeria, Angola, Sudafrica, ma anche economie minori come la Guinea equatoriale, lo Zimbabwe, il Burundi).
Una governance adeguata è il presupposto per affrontare con successo questa trasformazione, al fine di superare le criticità che storicamente hanno costituito un freno endemico allo sviluppo del continente africano; serve una forte volontà politica volta al superamento della sovrapposizione di regole e pratiche commerciali e lo sviluppo di infrastrutture adeguate, per sostenere gli scambi di beni e servizi. Quest’ultimo aspetto non riguarda solo il commercio fisico, ma anche il commercio digitale collegato all’e-commerce e ai e servizi.
Tali carenze, se da un lato sottolineano il divario tecnologico fra l’Africa e resto del mondo, dall’altro, costituiscono una grande opportunità, la vera sfida del prossimo futuro.
Anche se le tecnologie digitali avanzate incidono ancora solo parzialmente sul totale della popolazione africana, la grande spinta delle tecnologie mobile sta apportando un grande cambiamento culturale ed una richiesta sempre più elevata di servizi.
I sorprendenti ritmi di crescita della telefonia mobile (nel 2017, il tasso di penetrazione era arrivato al 78%), sta innestando una serie di mutamenti tangibili nella vita quotidiana di milioni di persone. Un dato significativo è la vendita di smartphone, in crescita del 500% dal 2014 al 2018. Solo nell’Africa subsahariana ci sono attualmente 456 milioni di abbonati alla telefonia mobile, con un tasso di penetrazione del 44%; è il tasso di sviluppo più alto del mondo e gli abbonati raggiungeranno i 600 milioni entro il 2025.
Secondo Deloitte Francophone Africa, “il contributo di Internet al PIL del continente potrebbe raggiungere i $ 300 miliardi nel 2025“.
McKinsey Global Institute, in un recente rapporto, stima fra i $ 148miliardi e $ 318 miliardi i guadagni di produttività derivante da Internet nei settori chiave (servizi finanziari, istruzione, sanità, vendita al dettaglio, agricoltura e governo) entro il 2025.
Tutti gli analisti concordano sull’importanza strategica e sull’impatto che l’ICT avrà nello sviluppo del continente africano, sottolineando che “le imprese legate alle nuove tecnologie digitali possono veramente cambiare il gioco sul continente, rafforzare l’occupazione e le capacità imprenditoriali dei giovani”.
Il processo, di fatto, è già iniziato: ogni anno vengono infatti creati 6 milioni di posti di lavoro connessi al settore delle tecnologie che generano un potenziale aumento del reddito dei giovani africani dal 40 al 200%. I numeri sono già rilevanti, tuttavia il potenziale è molto più alto. Questa crescita significativa delle start-up nel settore ICT è la migliore testimonianza del dinamismo e delle opportunità legate a questo settore. I giovani imprenditori africani sono sempre più preparati e pronti ad affrontare la sfida della modernizzazione e del digitale.
L’ICT e il settore della produzione del software, da soli, offrono reali possibilità per ridurre la disoccupazione, aprendo il campo ad una nuova generazione di africani, uomini e donne, le cui qualifiche saranno ricercate in modo trasversale, a prescindere dai settori di mercato.
Ghiaia Frederic, co-fondatore di Simplon.co, nel suo libro ” Leggere, scrivere, contare, codificare“, nel confermare questa tendenza, afferma: “il codice è una nuova lingua che, come le lingue ufficiali della comunicazione internazionale, può davvero costituire un passaporto per l’occupazione“.
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